Stati-Uniti – New York
L’artista newyorkese crea assemblaggi tra fotografia e pittura dove la realtà familiare si scontra con un’estetica onirica e nostalgica, trascesa dalla luce.

Il fascino di Richard Tuschman per la pittura, la fotografia e l’assemblaggio lo ha portato a sperimentare i processi delle immagini digitali a partire dagli anni ‘90. Da allora, ha plasmato narrazioni visive che sono allo stesso tempo drammatiche, oniriche, pittoriche e cinematografiche, che esplorano la complessità e le sfumature emotive dei rapporti umani. Il suo stile distintivo mette a confronto il reale con il virtuale, la fotografia con la pittura. La sua famosa serie Hopper Meditations, una risposta personale al lavoro di Edward Hopper, ne è il portabandiera. Reinterpreta qui lo stile e la visione del pittore americano utilizzando diorami delle dimensioni di una casa delle bambole, che dipinge e fotografa nel suo studio, e mescola grazie a Photoshop a scatti di modelli umani. Tutto questo è esaltato da un’illuminazione precisa e controllata che ritrae gli stati emotivi dei suoi personaggi. Se Richard Tuschman si ispira ai grandi maestri, come Rembrandt, Vermeer, Caravaggio e Da Vinci, è nelle tecniche del teatro e del cinema che attinge le sue fonti di luce.


Riflessione introspettiva
I temi della solitudine, dell’alienazione, della nostalgia e del desiderio permeano così la serie di questo titolare di un Bachelor of Fine Arts presso l’Università del Michigan ad Ann Arbor. C’era una volta a Kazimierz è un fotoromanzo su una famiglia ebrea che vive a Cracovia, in Polonia, nel 1930, basato sull’omonimo dipinto di Van Gogh. In una delle immagini (I mangiatori di patate), questa povera famiglia consuma la sua magra cena alla luce di una lampada a cherosene. La sua illuminazione crea “una sottile tensione, evidenziando un momento di sostentamento e di fragile calore in una vita di lotta e privazione”. In un’altra (Couple in the street), l’effetto luminoso è influenzato dai dipinti di Giorgio De Chirico. Quanto a My Childhood Reassembled, questo corpus di immagini ripercorre i primi anni dell’artista attraverso ricostruzioni di scene della sua casa d’infanzia negli anni ‘60. Una “memoria visiva” che ricrea e ricompone a partire dai suoi archivi di famiglia e dai suoi ricordi personali, sondando così le sue emozioni che tendono verso una malinconia più misteriosa.

