[wpml_language_selector_widget]

Partager l'article

PHOTORÉALISME

Picture this !

Inghilterra – Londra 

“Quando guardiamo un dipinto fotorealistico, c’è una doppia immagine: vediamo sia un dipinto che un’immagine chiaramente derivata da una fotografia. Il soggetto del dipinto di [Don] Eddy, ad esempio, [Private parking III, 1971 ndr], non è una Volkswagen, ma una fotografia di una Volkswagen. Il dipinto corrisponde alla fotografia tanto quanto l’auto”.

© Waddington Custot Gallery

È così che nel 1973, Lawrence Alloway evidenziava la duplicità delle immagini iperrealiste ed evacuava ogni confusione rispetto alla tendenza fotorealista, apparsa negli Stati Uniti a metà degli anni Sessanta sulla scia della pop art: pur nata in reazione all’ambient abstract espressionismo e minimalismo, e pur mirando a una riproduzione minuziosa della realtà, si trattava proprio di pittura – e per di più di una pittura che si lascia vedere (attraverso le tracce del pennello o degli impasti)…

© Waddington Custot Gallery

A paradosso di cui gode il nostro sguardo come testimoniano le opere dei maestri del genere riunite alla Waddington Custot Gallery: John Baeder, Charles Bell, Tom Blackwell, Davis Cone, Robert Cottingham, Don Eddy, Richard Estes, Ralph Goings, David Parrish, John Salt… sono presenti tutti i protagonisti del movimento che si è sviluppato fino alla fine degli anni ’80.

Tra gli altri esempi di coraggio, citiamo la scintillante Harley Davidson dipinta dal basso inquadratura ravvicinata di David Parrish, il sedile dell’auto con il rivestimento argentato strappato di John Salt, l’auto da corsa in primo piano di Ron Kleemann o il quasi ingannevole natura morta al ketchup di Ralph Goings (Still Life [Color Pick], 1982).

© Waddington Custot Gallery
Oltre l’illusione

Tra i motivi ricorrenti vi sono infatti, come negli affreschi della pop art, tutti i prodotti, gli emblemi e gli altri feticci della società dei consumi: insegne luminose, cartelloni pubblicitari, vetrine di negozi, scaffali di supermercati, ristoranti, stazioni di servizio, auto, moto, giocattoli… Privilegiando le superfici riflettenti (vetro, cromo, pelle o plastica), i pittori fotorealisti (che spesso dipingevano da foto in bianco e nero) mostrano straordinari virtuosismi nella resa dei materiali e degli effetti fugaci di luci e ombre, ma anche nel rendere visione distaccata e piatta (monoculare) della fotocamera. Facendo brillare i colori (spesso inventati), modificando le prospettive, sono un lavoro di composizione.

©Waddington Custot Gallery

Nonostante le apparenze, lungi dall’essere copie esatte di fotografie, i dipinti fotorealistici sono “interpretazioni artistiche”. “Uso semplicemente il soggetto come punto di partenza per comporre il dipinto”, ha detto Robert Cottingham. Intervistato nel 1972, Don Eddy, invece, dichiarava: “*Si pone la questione se stai guardando un’illusione di oggetti nello spazio o una rappresentazione di un pezzo di carta piatto – una fotografia – che è a sua volta una rappresentazione di cose nello spazio. L’idea di essere fotografico o fedele alla realtà non mi interessa molto. Sono i riferimenti tra ciò che sappiamo, ciò che vediamo, ciò che pensiamo di vedere e ciò che c’è, tra la superficie della tela e l’illusione nella tela. Mi sembra che questi siano i veri problemi”.

©Waddington Custot Gallery

« Picture This – Photorealism 1966-1985 »
Fino al 24 giugno 2023
Waddington Custot Gallery
11 Cork Street, Londres (Angleterre)

waddingtoncustot.com

     Stéphanie Dulout