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LÉONARD MARTIN – SUITE ZABRISKIE 

Esplosione fissa

Ispirata alla scena finale dell’esplosione del celebre film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, l’omonima serie di Leonard Martin presentata allo spazio di Bruxelles della galleria Templon ci regala la visione di un universo capovolto che evoca il flusso costante di immagini del nostro mondo sotto l’influenza della cloud. Qualcosa per invogliarci a liberarci?…

Polverizzati nel cielo, i vestiti multicolori di un armadio, i viveri di un frigorifero, un televisore, i libri di una biblioteca… il tutto filmato al rallentatore su un sottofondo di musica psichedelica (firmata Pink Floyd): bisogna rivedere la mitica scena finale del celebre film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni uscito nel 1970, per apprezzare l’omonima serie di Leonard Martin. Una serie di dipinti a olio e acrilici dai colori vivaci e privi di punti di fuga – come dovrebbe essere per trasmettere l’impressione di fluttuare… “Guardare l’esplosione di oggetti di Zabriskie Point significa interrogarsi sulle ripercussioni e sulla scia che la storia di una generazione lascia su quella successiva”, spiega l’artista nato nel 1991, diplomatosi alle Belle Arti di Parigi e Fresnoye che ha avviato, sin dalla sua residenza a Villa Medici nel 2019, un dialogo tra pittura e cinema. “Quali percorsi possiamo trovare nei sogni abbandonati dei nostri antenati?”, si interroga. “Questi oggetti li prendo al volo. Laddove il film si ferma come un punto di non ritorno, i miei quadri immaginano possibili seguiti”.

Saturazione

Quali conseguenze si possono immaginare in questo grande disordine di segni in cui si evolvono figurine simili ad automi (l’artista multimediale che pratica insieme pittura, scultura e video crea marionette e automi destinati a mettere in scena temi tratti dalla letteratura o dalla storia dell’arte)? Trasponendo sulla superficie piana della tela la nuvola di oggetti levitanti del film di Antonioni, la suite Zabriskie evoca inevitabilmente, attraverso la saturazione dei segni, “questo flusso costante di immagini, testi e suoni che ormai occupano la nostra quotidianità e talvolta offuscano la nostra visione”. Per Léonard Martin, infatti “la pittura ci permette forse di far cadere le immagini, di far piovere questa ‘nuvola’ che pesa sopra le nostre teste”.

Ricordando, attraverso la loro prospettiva profonda, gli emaki –rotoli miniati cinesi, giapponesi o coreani che prefigurano il cinema – i suoi dipinti “impediscono allo sguardo di congelarsi”. Un’estetica frammentata che mette alla prova il nostro sguardo. Qui non c’è riposo; siamo nel vortice della storia e della memoria. L’artista si chiede infatti: “Come possiamo rimettere insieme i pezzi di una storia? Dove volgere lo sguardo e tendere l’orecchio? I miei dipinti non fanno il punto. Tracciano linee, da un ricordo all’altro e cercano di ripopolare questo deserto su cui sorvolano gli amanti di Antonioni”.

STÉPHANIE DULOUT

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Galerie Templon Bruxelles

Veydtstraat 13A, Bruxelles (Belgique)

Fino al 24 febbraio

templon.com

Belgio – BRUXELLES