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MARK ROTHKO, Quando il colore diventa emanazione di luce

Ventidue anni dopo il Museo d’Arte Moderna di Parigi, la Fondazione Louis Vuitton ci regala ancora una volta il piacere di immergerci negli ipnotici campi di colore del pittore Mark Rothko, il grande maestro del colorfield1.

“Come possiamo dire ciò che non può essere detto ed eppure si prova così intensamente? Come introdurre attraverso le parole un’opera che ha portato la pittoricità alla sua incandescenza […] Cosa cerca il visitatore, prigioniero di ciò che parla così forte ai suoi occhi, al suo cuore, a tutto il suo essere? Cosa ricerca instancabilmente l’artista stesso, come mostrano rare foto nel suo studio scrutando instancabilmente le campiture colorate a cui ha a poco a poco ridotto le proprie tele? Perché, ancora oggi, quest’opera ci sembra così necessaria nella sua urgenza senza tempo di evocare la condizione umana, quella poignancy2 che si annida nel profondo di ogni persona come Rothko vuole che sia al centro del suo lavoro…? “, si chiede Suzanne Pagé3, curatrice della mostra, nella prefazione al catalogo. È difficile descrivere, infatti, l’emozione che ci travolge alla vista di una delle tele astratte del pittore americano che concepiva le sue opere “come spettacoli” ma anche come “esperienze trascendentali”2.

“icone astratte”

Lontano dall’Action painting, il suo lavoro astratto, sviluppatosi alla fine degli anni Quaranta, dopo esordi figurativi di ispirazione espressionista e poi surrealista, nasce da un lento lavoro meditativo e incoraggia la contemplazione, addirittura la meditazione. Ci sentiamo in bilico davanti ai suoi spazi fluttuanti ridotti a due o tre rettangoli dai contorni diffusi e sfumati, dalla materia vellutata e dal colore luminoso. Rigorosamente piatto, interamente votato al colore, lo spazio è tuttavia creatore di molteplici profondità risultanti da impercettibili variazioni cromatiche. I blu, i gialli, i rossi, i verdi, poi, alla fine della sua vita, i neri e i grigi, come i fondi dorati delle icone, sono in sospensione e sembrano evaporare o scomparire, dissolversi nella propria luce. E il fascino funziona…

STÉPHANIE DULOUT

France – Paris

1. Letteralmente “campo colorato”, questo termine fu usato nel 1962 dal critico Clément Greenberg per designare la pittura di artisti come Barnett Newman, Mark Rothko e Clifford Still, dell’Espressionismo astratto ed eredi di Matisse nella loro concezione del colore come oggetto in sé, autonomo, non soggetto a forma o a nessunanarrazione o illustrazione.

2. Citazioni dell’artista stesso.

3. Direttrice artistica della Fondazione Louis Vuitton, Suzanne Pagé era già, nel 1999, curatrice della mostra MAM (di cui era allora direttrice).

Nato Marcus Rotkovitch nel 1903 a Dvinsk, nell’impero russo, Rothko emigrò a Portland nel 1913 per raggiungere il padre partito tre anni prima, prima di stabilirsi a New York nel 1923, dove si uccise nel suo studio nel 1970.

“I do not believe that there was ever a question of being abstract or representational. It is really a matter of ending this silence and solitude, of breathing, and stretching one’s arms again transcendental experiences became possible.”

“Non penso che si sia mai trattato di essere astratti o rappresentativi. Si tratta in realtà di porre fine a questo silenzio e questa solitudine, respirando e allungando le braccia affinché le esperienze trascendentali diventino nuovamente possibili”.

The Romantics were prompted, saggio di Mark Rothko, 1947/48; citato in Possibilities, vol 1, n° 1, inverno 1947-48, Kate Rothko Prizel e Christophor Rothko.

« Mark Rothko »

Dal 18 ottobre al 2 aprile 2024

Fondation Louis Vuitton

fondationlouisvuitton.fr

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