Cos’è il Bello? Cosa definisce o giustifica i canoni di bellezza? È la domanda che si pone con grande audacia l’artista olandese Justine Tjallinks (classe 1984). La sua arma? La bellezza dell’immagine e la perfezione della resa plastica attraverso, soprattutto, l’utilizzo ottimale della luce. Il suo tema prediletto? La singolarità. Il suo mezzo? Una fotografia ibrida, ritoccata con pennello digitale.
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Dando alle sue fotografie un aspetto quasi pittorico, questo meticoloso processo di ritocco digitale conferisce alle immagini una strana ambiguità: ibridando il reale e il virtuale, disturbano il nostro sguardo incerto, non sapendo a quale mondo aggrapparsi. Allo stesso modo, è per contrastarli meglio che l’artista, con un virtuosismo non privo di perfidia, contraffà i modelli della storia dell’arte, dalla pittura antica – e più in particolare dai ritratti del Secolo d’oro olandese – al Realismo magico.
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Anche se il processo – illustrato, soprattutto, da Frank Horvat negli anni ’80 – non è nuovo, colpisce nel segno. Ripetendo così la scena della Lettera di Vermeer
alla sua modella, Justine Tjallinks gioca abilmente con il mimetismo (della postura, dei colori, dell’arredamento…) e l’anacronismo (attraverso la modernità quasi futuristica dell’acconciatura e dei tessuti) per creare una collisione tra passato e presente. Evocando a turno gli interni olandesi di un Ter Boch o di un Van Hoogstraten, i ritratti di Anton van Dyck o di Frans Hals, facendo allo stesso tempo compenetrarsi le temporalità (in particolare nelle serie Modern times e Passé), l’artista fa emergere surrettiziamente l’anormalità. Così la deformità, talvolta inquietante e accattivante dei volti dei bambini con sindrome di Down (The Leftlovers), o con albinismo a cui l’artista dedica una serie luminosa, Jeweled, nel 2016, riesce a rendere questa anomalia un attributo magico…
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Se il suo scopo è mostrare la bellezza della diversità, questo è ciò che ottiene anche nella serie Surfaces che fa emergere, a fior di pelle, la verità sotto la maschera ribaltando i canoni estetici attraverso l’esaltazione di “imperfezioni”, alterazioni e altre particolarità esaltate da effetti contrastanti di brillantezza e opacità tecnicamente mozzafiato. Un salutare Trahison des images (Tradimento delle immagini), proprio come nell’omonima serie che mostra l’inquietante plasticità della pelle nera…
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Stéphanie Dulout
Fino al 25 marzo
Galerie Sophie Scheidecker
14 bis, rue des Minimes, Parigi III